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Parole e Ombre

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la Tevere Art Gallery di Roma che accoglierà l’esposizione delle opere.

Parole e ombre

a cura di Arturo Belluardo e Roberto Cavallini

Da domani, ogni martedì e venerdì, Succedeoggi torna a rendere fratelli arte e narrativa. Dopo il successo delle serie di Testo a fronte, le rassegne di racconti illustrati dagli artisti della Galleria Porta Latina di Roma, stavolta a gemellarsi sono narratori e fotografi. L’idea è stata quella di far dialogare tra loro linguaggi diversi, artisti della parola e artisti dell’immagine. Narratori e poeti da un lato, fotografi, pittori, artisti visuali dall’altro.
Per alcune settimane verranno pubblicati racconti e poesie (una ventina in tutto) affiancati da opere realizzate dai fotografi e dagli artisti (i “mostri”) della TAG – la Tevere Art Gallery di Roma. Il tutto culminerà il 23 novembre con un evento alla TAG, dove l’esposizione delle opere verrà affiancata da una performance curata da Barbara Lalle e da interventi di videomapping di Nicola Pavone. Il progetto nasce nell’alveo del Tevere, nell’ansa della Magliana, dove dall’alto del vicino Monte Cucco i fantasmi di Totò e Ninetto Davoli si aggirano in compagnia di Santa Passera, dove il Freddo e il Libanese vanno a sentire Fabrizio De André, nasce su un argine del Dio Fiume dove “il sensibile” stampatore Luciano Corvaglia apre periodicamente le porte della sua galleria, la TAG, ai “mostri”, a tutti i fotografi non professionisti che vi vogliono esporre.
La location particolare, una comunità meticcia di artisti che spaziano in tutti i generi (fotografia, pittura, collage, musica, scrittura) fanno della Tevere Art Gallery un luogo unico a Roma: il desiderio dei curatori di dare spazio a questo mondo attraverso una rivista sempre attenta alle nuove sensibilità ha fatto nascere Parole e Ombre.
Quest’estate, abbiamo chiesto a scrittori affermati e meno affermati, dal giovanissimo Rocco Civitarese al veterano Nino De Vita, di regalarci uno sguardo, un loro micromondo da affidare alle mani degli artisti della galleria. Staffili di parole, sperimentali e tradizionali, di spessore e trama fine sono stati consegnati ai lavoratori dell’immagine. Lo sforzo fatto dai curatori è stato quello di proporre autore ad autore, di affiancare per similitudine o per contrapposizione, privilegiando artisti narrativi e pronti a scendere in profondità. La fotografia svincolandosi dalla concretezza dell’impronta si è inoltrata lungo i percorsi dell’astrazione, del simbolico; c’è chi ha rivisitato il proprio archivio, chi ha realizzato foto nuove, chi ha preferito alla fotografia la pittura o l’installazione. Il risultato è stato particolare, sorprendente.
Lo vedrete, lo valuterete ogni settimana a partire da oggi.
Buone emozioni.

video della serata


http://www.succedeoggi.it/2018/11/ventilate-stanze/ Parole Ombre 10 - Ventilate stanze di Mariagiorgia Ulbar - Acquerello di Alessandro Arrigo

http://www.succedeoggi.it/2018/11/telo-racconto/ Parole e Ombre 9 - Telo racconto di Claudia Colaneri - Fotografie di Vera Castellucci

http://www.succedeoggi.it/2018/11/punto-di-ripristino/ Parole e Ombre 8 - Punto di Ripristino di Simona Baldelli - Fotografia di Sabrina Genovesi

http://www.succedeoggi.it/2018/11/il-gioco/ Parole e Ombre 7 - Il Gioco di Carmen Verde - Fotografia di Alessandro Bortolozzo

http://www.succedeoggi.it/2018/11/il-giorno-dopo-la-pioggia/ Parole e Ombre 6 - Il giorno dopo la pioggia di Lorena Fiorelli - Fotografia di Carmine Frigioni

http://www.succedeoggi.it/2018/10/tanaliberatutti/ Parole e Ombre 5 - Tanaliberatutti di Paolo Vanacore - Fotografia di Sandra Paul

http://www.succedeoggi.it/2018/10/i-pesci-sono-migranti-liberi/ Parole e Ombre 4 - I pesci sono migranti liberi di Michele Caccamo - Fotografia di Giovanna Chessa

http://www.succedeoggi.it/2018/10/giustino/ Parole e Ombre 3 - Giustino di Paolo Restuccia - Fotografia di Stefano Restivo

http://www.succedeoggi.it/2018/10/caleidoscopio/ Parole e Ombre 2 - Caleidoscopio di Rocco Civitese - Fotografia di Emanuele Dini

http://www.succedeoggi.it/2018/10/a-malata/ Parole e Ombre 1 - ’A malata di Nino de Vita - Fotografia di Re Barbus

http://www.succedeoggi.it/2018/10/parole-e-ombre/ Presentazione di Parole e Ombre di Arturo Belluardo e Roberto Cavallini



Psicopompo di Arturo Belluardo - fotografia di Roberto Cavallini

date » 19-11-2018 15:57

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PSICOPOMPO
di Arturo Belluardo




Questo è il primo Natale che passiamo senza mio padre.
Ci siamo radunati tutti attorno a mia madre, a questo mucchietto d’ossa su-perstiti.
Strano che tra lui, torreggiante ed egoista, e lei, sassolino implume e fumante di acido borico, sia morto prima lui.
Una botta secca e malignazza, da far esplodere i capillari del naso, da far scorrere torrenti di muco verde e soffice, da far ruttare dal cuore gli estremi aneliti.
“Sento l’anima partir” e giù sul tavolo, a rovesciare un boccale di Peroni Na-stro Azzurro, a sganciare le bretelle porpora e a farle diventare proietti di fionda sul pranzo dei Morti: pane cunzato con olio, origano, tuma e acciughe, scurria di grano e lenticchie, ossa dei morti, pupi di zuccaro, frutta martorana.
Con impagabile tempismo, mio padre era morto la sera di Ognissanti ed era nuotato via a portare fucili con i fulminanti e bambole di pezza ai bambini del passato. Che oggi non si usa più che le Anime Sante dei Morti portino i regali ai picciriddi, che oggi non si usa più apparecchiare a tavola il posto di chi è trapassato, che oggi non si usa più versare vino sulle tombe di terra fresca e riposata.

“Cu è?”.
“Dolcetto o scherzetto?”.
Mio padre aveva aperto la porta e si era trovato davanti un vampiro, una strega e uno scheletro.
“Ma che è Carnaluare? Che bbulite?”.
“Dolcetto o scherzetto?” voci tremolanti.
“Ofanculo va bene uguale?” e aveva sbattuto la porta.
“Avà, Iano che picciriddi sono! Ma che ci dici?”.
“Ammia ‘stu Allovinni mi ha scassato la minchia! Non era tanto sapurita la Festa dei Morti? No, tutte cose dall’americani amu a pigghiari!” e l’ira se n’era salita funesta alle varici degli occhi “Anzi, sai che ti dico Concetta? Che tu domani mi prepari bella bella la Cena dei Morti come facevamo quannu c’erano i carusi!”.
“Ca cetto. Ma che babbii? Che domani tutte cose chiuse sono.”
“Cristallo di rocca! Tu fai chiddu che dico io!”
Tu fai quello che dico io. Sempre così mio padre. Che ce n’eravamo andati tutti, a lasciarlo sventolare nell’aria fetida il tatuaggio da delfino sull’avambraccio. Il delfino di marinaio di petroliere, di puzza di gas e sentina per le scale della casa popolare a ogni suo ritorno. Il delfino in fuga a Göte-borg dietro buttane svedesi e noi a fetere di fame e solitudine. Il delfino con un foglio di via del Re Gustavo per mai più ritornar. Il delfino che spandeva sentina e gas dopo cinque anni. Ma solo un mucchietto d’ossa sorridenti ad attenderlo.
Io non c’ero più. Ora e per sempre, amen.

“Ora e per sempre, amen”.
La messa di mezzanotte mia madre la vuole nelle Catacombe di San Marzia-no al freddo e al gelo, calcare nero d’umido e capelvenere.
Mia figlia si annoia, rimbalza da un piede all’altro nel suo piumino rosa Winx. Guarda gli affreschi corrosi da gocce minerali e preghiere.
“Chi è quel signore scuro, papà?”
“E’ Gesù, amore mio”.
“E perché ha la pelle marrone?”.
“Perché veniva dal Medio Oriente”.
“E perché ci sono questi pesci?”.
“Sono simboli di Gesù. In greco pesce si dice iktùs...”.
“Come quello del nonno?”.
Sgancio un sorriso e le faccio cenno di tacere.
“Ma il nonno è morto perché aveva un pesce sul braccio?”.
“Quello era un delfino.”
“Anche questo è un delfino” e indica Gesù che a cavallo di un cetaceo tra-ghetta le anime dei morti.
Mia madre ci giubila con uno sguardo di fuoco.

“Mi manca. Tuo padre mi manca. La notte la mia mano lo cerca e lui è lì che russa. Apro gli occhi e non lo trovo. Chiudo gli occhi e ride. Come quando beveva tre Peroni. Si asciuga la bocca con il dorso della mano e ride”.
“E tu?”.
“Io gli chiedo come sta e lui mi dice che ora me ne accorgo pure io”.
“Ma che è? Una persecuzione?”.
“Uh, vatinni tu, che vuoi capire tu di matrimonio che tua moglie te la sei tenuta picca e nenti”.
“Mamma, non davanti alla bambina...”.
“E perché non te la porti in spiaggia, che c’è ‘stu bello sole? Itavinni a fare ‘na passiata che il cloro ci fa bene ai polmoni”.
“E il pranzo di Natale?”.
“E quannu mai cucinasti tu? Non ti preoccupare, itavinni, itavinni, lassatemi sola”.

Fumo e guardo il mare. Sull’orizzonte tumido scorre una petroliera.
“Papà, corri, corri, vieni a vedere”.
Un punto fisso rosa Winx.
“Cosa, amore mio?”.
“Un delfino, papà, un delfino”.
Il mare è una tavola di piombo denso e i raggi rimbalzano. Non ci sono delfini né tonni né squali. Anche la petroliera se n’è andata.
Ma mia figlia non guarda le onde, guarda la sabbia.
Arenata tra alghe e bottiglie di Svelto, c’é una carcassa putrefatta, arrotolata su se stessa. Un uroburos, la coda già divorata, la gabbia toracica bianca e lucida, la testa sfatta, il naso camuso di delfino soffocato dalla risacca.
Granchi e scarabei neri ne percorrono le vertebre sporgenti.
“Torniamo a casa, la nonna ci aspetta”.

L’ascensore non funziona.
“Cos’è questa puzza, papà?”.
Dico alla bambina di aspettarmi al secondo piano e salgo le scale di corsa.
Da un piano all’altro, l’odore di gas e sentina si fa sempre più penetrante, sof-focante.
Apro la porta e il buio si riversa sul pianerottolo.
Premo l’interruttore e la luce non s’accende.

Da Facebook a Scampia - Riflessioni sul libro La Voce degli Occhi

date » 04-07-2018 13:51

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Scorro sullo smartphone i post di Facebook, con l’impegno di chi sta perdendo tempo e mi imbatto nella foto di un ragazzino che mi guarda, mi fermo e ricambio lo sguardo. I social media sono sopraffatti da immagini, certo ogni medium oggi è inflazionato, moltiplicato, ma le parole scritte, anche sul display, le puoi saltare in blocco, mentre le immagini si presentano come un insieme e anche se non le vedi più, rimangono una sollecitazione retinica che si insinua dentro di te. L’impressione del già visto ed il senso di noia e quasi di inutilità di fronte a questo profluvio iconografico mi faceva rispondere, pochi giorni fa, insieme ad un altro fotografo di lunga carriera, ad un giovane attrezzato di reflex, che domandava perché fossimo senza macchina fotografica, che un vero fotografo ormai le foto non le fa più, le pensa solamente.

Ovviamente era una boutade, infatti quel bambino, fotografato seduto su una specie di trono su un ballatoio delle case a Vela della 167 di Scampia, che guarda con serietà, è la dimostrazione che di fotografie ce n’è ancora bisogno.

Che ha di speciale quella fotografia? Per alcuni forse potrebbe rimanere nel novero delle immagini a sfondo sociale, in bianco e nero, di una delle tante periferie italiane. Per me no. Quella immagine racconta, tanto per cominciare, la storia del rapporto tra il fotografo ed il fotografato. Pino Guerra, il fotografo, si è abbassato, si è posto all’altezza del ragazzino, da pari a pari e solo dopo ha scattato. Lo ha posto al centro dell’immagine, ben saldo sul suo trono, sulla convergenza delle linee di fuga disegnate dal cemento a vista che è stata (forse lo è ancora) la “cifra stilistica” dell’edilizia economica e popolare degli anni ’70 ed ’80, in Italia. Non si può andare oltre, la sedia occupa tutto il passaggio, il ragazzino ha la bocca serrata e le mani ben salde sui braccioli, non c’è pietismo, non c’è manierismo fotografico. In quella immagine c’è una sospensione di giudizio, che è un invito a proseguire il viaggio tra le altre fotografie e le parole, di Davide Cerullo, che proseguono parallele ad esse.

Non è facile oggi incontrare fotografie che narrino la storia di ciò o di chi è davanti all’obiettivo, basta fare un confronto con i “Long-Term Projects” del World Press Photo, dove autori di fama internazionale, che hanno realizzato reportage in posti remoti, raccontano con le fotografie più il loro virtuosismo nel costruire geometrie complesse e la capacità di intervenire in post-produzione con alterazioni cromatiche, che il mondo che gli è di fronte.

Pino Guerra, nato a Napoli, nel 1962, fotografo a largo spettro, dalla moda, alla pubblicità, al reportage, ha raggiunto l’obiettivo di raccontare “il mondo delle Vele” insieme alla penna di Davide Cerullo, (Napoli,1974), ex camorrista, ora anche lui fotografo e poeta, con il libro La Voce degli Occhi – Scampia. Viaggio fotografico nel mondo delle “Vele”.

Immagini e parole, assolutamente inscindibili, complementari che sono scaturite da una volontà di comunicare tra chi raccontava e chi si è fatto raccontare.

Scrive Cerullo: «Prima che con l’obiettivo della macchina fotografica, dovevamo metterci il cuore, perché quello ci vuole prima di tutto per frugare tra le croste spellate dell’animo… Era necessario capire che prima di mettere a fuoco e fare una fotografia, bisogna farsi piccoli e prossimi nel quotidiano, nelle relazioni vere con le persone, nella responsabilità del non manipolare le persone, ma onorarle insieme alle loro storie e dolore. Poi forse si può pure fotografare, ma dopo. Allora ci siamo messi a sentire, ad ascoltare voci, storie». E di storie se ne raccontano parecchie in quella sessantina di pagine dense in cui un medium si alterna all’altro e quello che hai davanti agli occhi non sai più se te lo stia narrando di più Davide Cerullo o Pino Guerra.

Quello che mi aveva colpito della prima fotografia è stato poi quello che ho trovato in tutte le altre seguenti immagini, ovvero l’onestà dell’approccio e della visione. «Non vi è immagine nella quale, alla crudezza della sua evidenza, non si contrapponga un segno di intatta purezza che questi protagonisti tuttora conservano, quasi un’ombra, forse il riflesso di uno sguardo che appare più “ragazzino” del lecito, nonostante le armi, nonostante la droga, nonostante quella vita brutta che scandisce la quotidiana esistenza dei piccoli eroi, positivi e negativi, di Scampia».

Si sfoglia il libro e ci si trova di fronte al bacio sulle labbra tra un giovane uomo, (Padre? Fratello maggiore?) e un bambinetto tenuto in braccio, i tatuaggi conferiscono forza simbolica ai bicipiti dell’uomo e ci si chiede se quel contatto di labbra non stia lì a significare un soffio vitale, un destino già segnato, nel bene o nel male. Comunque ci si trova di fronte ad un forte sentimento di amore e di riconoscimento reciproco. E poi a seguire, con sullo sfondo cemento e mille finestre, un pulcinella per ricordarci che siamo a Napoli e poi voltando pagina, un vetro con un foro di proiettile e aldilà delle crepe una “Vela” e di rimando un gruppo di giovani in fondo all’abisso dell’edificio che esibiscono collane d’oro e giubbini Gucci, per ricordarci che Gomorra non è un’invenzione, e poi i gruppi di famiglia intorno al tavolo dove nei volti di padri e madri sembra essere scritto il destino dei propri figli. Tutti si fanno fotografare perché la fotografia è una forma di attenzione e di rispetto, quando le finalità del lavoro sono condivise e la condivisione fotograficamente, tra fotografo e soggetto, ce la comunica anche la prossemica: Pino Guerra usa frequentemente un obiettivo grandangolare che gli consente di inserire, nell’inquadratura, molti elementi dello sfondo ed al tempo stesso di avvicinarsi al soggetto principale, così tanto da condizionarne anche le reazioni, la postura, gli sguardi, in una sorta di dialogo senza parole che conferisce, a chi è davanti all’obiettivo, la consapevolezza di essere il soggetto, l’interlocutore di un dialogo a cui è destinata l’ultima parola.

Il libro di Guerra e Cerullo, [erre] Edizioni, presentato nell’ultima settimana di giugno presso Il PAN, Palazzo Arti Napoli, è inserito in un progetto editoriale “(R)ESISTENZA” associazione di lotta alla illegalità e alla cultura camorristica, tanto che i proventi della vendita del libro saranno devoluti alle attività dell’associazione “Centro Insieme” dei bambini delle vele, con sede presso l’Officina delle Culture “Gelsomina Verde” ed è importante a questo proposito l’altro testo, inserito nel libro, di Eleonora de Majo che è dedicato a Vittorio Passeggio, l’uomo col megafono, lo storico portavoce del Comitato Vele-Scampia.

«Le vele sono un inferno senza Stato… I subalterni senza Stato chiusi come polli in batteria nei mostri di cemento dell’edilizia popolare, sono sempre serviti solo a diventare numeri stratosferici funzionali al consenso elettorale e a fornire manovalanza a basso costo, vite a perdere nella foga di profitto delle holding criminali».

In trentasei anni di lotte e di rivendicazioni il “Comitato di Lotta” degli abitanti delle vele, unica istituzione dei senza-Stato, non ha mai perso di vista l’obiettivo principale della sue vertenze: l’abbattimento delle stesse vele.

Suonano di auspicio, a tal proposito, le parole di Luigi De Magistris, sindaco di Napoli che nella prefazione al libro, afferma: «Lavoriamo con tutta l’urgenza necessaria affinché le parole di Davide Cerullo e le immagini di Pino Guerra siano una testimonianza del passato».

Roberto Cavallini, giugno 2018

Questo articolo è stato pubblicato sulla rivista Succedeoggi col titolo Resistenza è una foto lo trovate al seguente link: http://www.succedeoggi.it/2018/07/pino-guerra-la-resistenza-e-una-foto/ , corredato di altre fotografie di Pino Guerra

Il 14 gennaio 2019 si è inaugurata la omonima mostra presso la Biblioteca Marconi di Roma

http://www.panzoo.it/index.php?option=com_k2&view=item&id=1384%3Apino-guerra-la-voce-degli-occhi-viaggio-fotografico-nelle-vele-di-scampia&Itemid=286&fbclid=IwAR17aocquQXuJIvX-ForeZLjVm4ix0nHmowFO-vHNXmcj34Pb8BsSaolPtU

https://www.facebook.com/events/2354173088145408/




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